Da cosa dipende il tempo di cottura della pasta

Da cosa dipende il tempo di cottura della pasta

Photographer: Julian Elliott
Getty Images

Certezze nella vita: il bagno è sempre in fondo a destra, i minuti di cottura della pasta non si trovano mai. Tra i grandi misteri dell'industria alimentare c'è la grafica riassuntiva dei pacchi di pasta, dove il suggerimento del tempo di cottura non è mai chiaro e immediato. Per la pasta fresca è facile: "appena torna a galla, scola". Ah, la semplicità. Ma quanti minuti ci vogliono per cuocere uno spaghetto? Dipende. Non a seconda del grano utilizzato, della trafilatura, del marchio artigianale e finezze assortite, no. Il vero problema è capire dove sta scritto il tempo di cottura della pasta senza farla scuocere, tanto ci vuole a individuare il misterioso numero a due cifre (frequente) in grado di riequilibrare il mondo. Breve recap dei vari punti in cui può essere collocato: in alto, in basso, dietro, di lato, sotto (qualunque altra indicazione, anche la provenienza del grano ormai esplicitata in etichetta), sulla fascetta che irrimediabilmente viene squarciata in apertura. E ci vedi a noi pastari incalliti mentre proviamo un marchio nuovo, che palleggiamo da cestista esperto con il pacco di rigatoni/penne/farfalle girandolo e scandagliandolo nemmeno stessimo valutando una Céline vintage.

Negli ultimi anni i tempi di cottura della pasta sono cambiati, e non solo restringendosi graficamente. Si regala sempre qualche minuto all'eventuale passaggio in padella con il condimento, meccanismo istigato dall'alta cucina ed entrato in casa con i numerosi cuochi televisivi. Addirittura c'è anche chi ha osato il doppio suggerimento: tempo di cottura classico e tempo di cottura al dente (che toglie un paio di minuti, non di più). Solo che il problema resta sempre trovarlo, 'sto tempo di cottura, impresso nel punto più irraggiungibile del pacco o della scatola (nei casi più eleganti e minimalisti). Poi inizia la seconda fatica di Ercole. Come è scritto il tempo di cottura? Male, che domande. Corpo 3, font illeggibile, roba da indagine optometrica: il massimo che le grafiche possano concedere. Una malignità che condanna irrimediabilmente gli inesperti, convinti di salvarsi dal disastro alimentare puntando un timer diventato inutile. I designer dei pacchi di pasta giocano sull'orgoglio del palato italiano, forgiato sin nel DNA a forza di assaggi per azzeccare la cottura millimetrica, ma ignorano il lato pratico: non è per tutti così. Il tocco di dente è più empirico della misura ad occhio, certo, permette di saggiare direttamente la consistenza e adattare la cottura al palato: ma è un extra che non tutti possono concedersi. Con certi formati impegnativi come i paccheri o certe sublimi paste artigianali, sapere in largo anticipo quanto tocca aspettare prima di mangiare, sarebbe un benessere aggiunto. Nella società contemporanea della frenesia a tutti i costi, anche calcolare il tempo giusto per attendere un piatto di pasta è diventato un lusso.

Pentola sul fuoco, acqua bollente o quasi, confezione di pasta alla mano e via con la cottura. Gestualità istintive ripetute centinaia di volte all’anno, spesso senza essere consapevoli di cosa facciamo passare al maccherone dalla confezione al piatto. Ma secondo i pastai italiani di Unione Italiana Food, un approccio scientifico al processo di cottura della pasta ci farà diventare cuochi migliori.

Tutto parte dalla comprensione della “natura” della pasta… e dalla maestria di chi l’ha realizzata. Per la pasta italiana si utilizza solo grano duro, dall’ impasto meno estensibile di quello che si ottiene dal grano tenero e quindi perfetto per sostenere la “architettura” delle forme. La pasta è fatta principalmente di amido (carboidrati) e glutine (proteine, mai meno del 10,5%, in media il 12-13%). I valori di entrambi sono indicati in confezione e sono un primo indizio di come si comporterà il fusillo in pentola. La quantità e la qualità delle proteine, che derivano da materia prima e processo di lavorazione, contribuiscono insieme alle tecniche di produzione a determinare la tenuta al dente della pasta. A contatto con l’acqua, le proteine creano il glutine, il “cemento” che dà struttura alla pasta e ne trattiene l’amido. Più forte è la tenuta della rete proteica, più strette le sue maglie, meno amido fuoriuscirà dalla pasta in cottura. Questo equilibrio, insieme ad altri aspetti produttivi legati alla competenza centenaria dei pastai, fa la differenza tra una tenuta al dente e una pasta collosa e scotta.

IDRATAZIONE, E LO SPAGHETTO SI PIEGA – Quando buttiamo, pardon, caliamo la pasta in pentola si innescano una serie di reazioni chimiche. In primis l’idratazione. L’acqua penetra progressivamente nell’impasto, che infatti diventa via via più morbido e consente allo spaghetto di acquistare sufficiente flessibilità per piegarsi e entrare nella pentola. Si tratta di un processo che si innesca anche a freddo: se si lascia per una notte una penna o un mezzo rigatone in un bicchiere di acqua fredda, al mattino troveremo una pasta molle e che si disfa, tutt’altro che al dente! E qui entra in gioco la temperatura di cottura: la pasta viene cotta dal trasferimento del calore dal liquido all’impasto, dalla sua durata e dalla sua intensità. Più l’acqua è calda, più rapidamente verrà assorbita, prima il calore raggiungerà il centro della pasta e questa cuocerà in modo uniforme.

LA FUGA DELL’AMIDO, LA RETE DEL GLUTINE: YIN E YANG DELLA PASTA AL DENTE – Tra i 60 e gli 80 gradi centigradi amido e proteine della pasta subiscono due trasformazioni opposte e quasi contemporanee – e il fatto che queste reazioni si inneschino anche a temperature inferiori a quella di ebollizione spiega il perché sia possibile cuocere la pasta anche passivamente, a fuoco spento. A 60°C l’amido si rigonfia, aumentando di volume, gelatinizza, e, disaggregandosi, si solubilizza, fuoriuscendo gradualmente dalla pasta. Lo vediamo ad occhio nudo dalla trasparenza dell’acqua di cottura: più è più torbida, maggiore è la quantità di amido “fuggito”. Fortunatamente, alle proteine accade il fenomeno opposto. La loro progressiva coagulazione, tra i 70 e gli 80°C, stringe le maglie del reticolo glutinico e scherma l’amido all’interno della struttura.

L’equilibrio tra i due fenomeni, o la prevalenza dell’uno o sull’altro, è la differenza tra una pasta al dente e il temuto “mappazzone”. Una piccola fuoriuscita di amido aiuta la pasta a legarsi con il sugo, ma se è eccessiva la rende collosa e scotta. Inoltre, più la cottura viene prolungata oltre il tempo ottimale, più amido verrà rilasciato. E infatti, quando l’acqua è troppo torbida, allora bisognerà tenerne conto e scolare la pasta con qualche minuto di anticipo. Con il rischio, però, di trovarla scotta all’esterno e cruda dentro.

LE ALETTE DELLA LINGUINA, LA VALLE DEL RIGATONE: TUTTE LE SFUMATURE DELLA COTTURA PERFETTA – Capire l’equilibrio tra cessione dell’amido e tenuta della rete proteica è la vasca di Archimede del pasta lover che può scegliere tecnica di cottura, tipologia di pasta e formato più funzionale alla ricetta o al proprio gusto. Per esempio, mantecare con un mestolo di acqua di cottura più o meno ricca di amido aiuterà la pasta a legarsi al meglio al condimento scelto. Nel mondo della pasta liscia, le linguine sono perfette con un sugo alle vongole perché le “alette”, più sottili, cuoceranno prima rispetto alla sezione centrale, più spessa, rilasciando la quantità di amido ideale per emulsionarsi con l’olio e a creare l’ambita cremina. Si comporta allo stesso modo la superficie ruvida e irregolare di una pasta trafilata al bronzo e, in modo più evidente, le scanalature di una pasta rigata. Sedanini e rigatoni, con la texture di “picchi” e “valli”, in cottura espongono all’acqua più superficie, restando più al dente nella parte spessa e rilasciando più amido da quella più sottile, permettendo sia di legarsi al sugo, che di “catturarlo” tra le righe.

PASTA TRAINING: SUL FILO DEL COLTELLO (E DEL VETRINO) I TEST DELLA QUALITÀ DELLA PASTA – Per aiutarci a raggiungere questo risultato, i pastai sottopongono la pasta a veri e propri “crash test” per verificare aspetto, tenuta in cottura, resistenza alla masticazione, ma anche aspetto, “solidità” del formato, assaggi con il condimento e prove di (extra)cottura: quanto tempo passa tra la cottura al dente e quando la pasta si scuoce del tutto? E lo spaghetto tiene il nerbo anche quando è all’onda? Più a lungo la pasta resterà buona anche se “dimenticata” sui fornelli o nel piatto, tanto più è adatta ad essere messa in commercio.

Per allenarsi anche a casa, i pastai italiani consigliano l’assaggio della pasta in bianco, senza sale e senza condimento – al massimo con un filo d’olio d’oliva. La degustazione inizia, come nel caso del vino o della birra, con l’esame visivo: la pasta mantiene la sua forma dopo la cottura? È fessurata? Quando la mastichiamo, la sua consistenza è uniforme o è troppo morbida all’esterno e cruda all’interno? E quanto profuma di grano? Un’altra prova è il test del vetrino (nel pastificio) o del coltello (in casa): si prende lo spaghetto e lo si schiaccia all’interno di un vetrino, oppure si taglia il formato con un coltello per vederne la sezione. Il punto di cottura ideale si raggiunge quando la parte interna bianca, l’“anima”, sparisce. Al di là dei parametri oggettivi, la valutazione ha molto a che fare con la sensibilità, l’esperienza… e le preferenze di ognuno.

Da quando si calcola il tempo di cottura della pasta?

Non si possono stabilire i tempi esatti di cottura della pasta, in quanto dipendono dal tipo di formato e dal suo spessore. Il punto giusto di cottura è raggiunto quando la pasta diventa tenera all'esterno, mentre la sua parte interna è ancora dura.

Che temperatura cuoce la pasta?

La reidratazione del glutine avviene prima rispetto a quella dell'amido, mentre la sua coagulazione (90 - 96° C) arriva dopo la gelatinizzazione. Quindi la pasta cuoce a circa 90 - 96° C (non a 100° C) perché è a questa temperatura che il glutine coagula.

Perché la pasta non cuoce?

La pasta quando viene fatta essiccare nei forni riscaldati a 115-120°C, assume una consistenza tale da garantire la tenuta in cottura. Tutto ciò accade perché nel nuovo processo produttivo la quantità delle proteine ha un ruolo prevalente rispetto alla qualità del glutine( tenacità ed elasticità).

Cosa succede se si mette la pasta prima che l'acqua bolle?

Cosa succede se si mette la pasta prima che l'acqua bolla? Nel momento in cui si mette il sale nell'acqua prima che quest'ultima cominci a bollire, se ne altera la sua composizione chimica, creando il cosiddetto innalzamento ebullioscopico, ovvero l'innalzamento del punto di ebollizione.