Se si viene licenziati si ha diritto alla disoccupazione

Il principale requisito per accedere alla Naspi, ovvero all'indennità mensile di disoccupazione, è aver perso il lavoro "involontariamente".

Questo fa immediatamente pensare al licenziamento, che avviene al di fuori della volontà del lavoratore che si ritrova, suo malgrado, ad essere licenziato e senza lavoro. Ma ci sono altri casi in cui si può ricevere la Naspi anche senza licenziamento? Sì, il nostro ordinamento lo permette, vediamo in quali casi.

La Naspi viene corrisposta al lavoratore per qualsiasi perdita involontaria dell'impiego

Il rapporto di lavoro può cessare, indipendentemente dalla volontà del lavoratore, anche se non sopraggiunge il licenziamento.

Per esempio un caso potrebbe essere un accordo stipulato dall'azienda con le organizzazioni sindacali. In questo caso si ha una risoluzione consensuale del contratto, derivante dall'accordo, ma in questo caso i lavoratori avranno diritto a percepire la Naspi.

Questo è stato previsto dai decreti emergenziali emessi durante il periodo Covid e poi riconfermati dai decreti successivi, come il decreto fiscale.

Quali sono i requisiti essenziali per ricevere la Naspi?

Bisogna aver versato 13 settimane di contributi previdenziali nei quattro anni precedenti la perdita del lavoro; aver perso involontariamente il lavoro; firmare la dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro e il patto di servizio, con il centro dell'impiego competente territorialmente.

Chi non può richiedere la Naspi?

Non possono accedere alla Naspi:

  • i dipendenti a tempo determinato delle pubbliche amministrazioni; i lavoratori stagionali;

  • i lavoratori che hanno maturato i termini del pensionamento;

  • chi si è dimesso volontariamente (e non per giusta causa).

Come accedere alla Naspi quando non c'è stato licenziamento?

Se dopo le dimissioni volontarie non è previsto l'accesso alla Naspi, e il lavoratore non è stato licenziato, come fare ad accedere alla Naspi se si perde il lavoro?

Vediamo i casi stabiliti per legge:

  • scadenza del contratto a tempo determinato (tranne nel caso in cui si sia lavorato per una pubblica amministrazione);

  • se si sono presentate dimissioni per giusta causa;

  • se si sono presentate le dimissioni durante la maternità;

  • se la risoluzione del contratto di lavoro è stata consensuale;

  • se il licenziamento è avvenuto con un'offerta di conciliazione.

Cosa sono le dimissioni per giusta causa, che permettono di accedere alla Naspi?

Le dimissioni volontarie vengono firmate dal lavoratore con un congruo anticipo (stabilito dal contratto di lavoro e dal contratto collettivo) e non danno diritto alla percezione della Naspi.

Nel caso di dimissioni per giusta causa, invece, regolamentata dall'articolo art 2119 c.c., ci si può dimettere immediatamente dal lavoro per gravi motivi, e si potrà percepire anche la Naspi.

Le dimissioni per giusta causa sono giustificate da un comportamento talmente grave del datore di lavoro tale da non permettere la prosecuzione del lavoro da parte del dipendente nemmeno un giorno in più. Quindi si può smettere di lavorare, senza preavviso e richiedere anche la Naspi all'Inps.

La giurisprudenza (ovvero le varie sentenze emanate dai giudici del lavoro) ha stabilito i casi in cui le dimissioni per giusta causa sono ammissibili:

  • mancato pagamento di una o più retribuzioni;

  • comportamento ingiurioso o molesto da parte del proprio superiore;

  • demansionamento;

  • mobbing;

  • molestie sessuali da parte del proprio superiore;

  • mancato versamento dei contributi previdenziali.

Per la gravità dei fatti dovuti proprio a responsabilità del datore di lavoro, quest'ultimo sarà obbligato a versare anche la sua parte di contributo Naspi all'Inps.

Il lavoratore che si dimette per giusta causa non deve descrivere le motivazioni nella lettera di dimissioni, ma deve solo specificare che non si tratta di normali dimissioni. Dopo essersi dimesso, l'ex lavoratore potrà fare normale domanda di Naspi.

Nell’ambito del licenziamento del lavoratore per motivi disciplinari, il nostro ordinamento prevede due specifiche fattispecie in relazione all’intensità della condotta lesiva del vincolo fiduciario attuata dal lavoratore. In particolare, il comportamento del prestatore di lavoro può determinare licenziamento per giusta causa oppure può condurre ad un licenziamento per giustificato motivo soggettivo (GMS). In ogni caso, quale che sia la tipologia di licenziamento disciplinare, al lavoratore, in presenza degli ulteriori requisiti normativamente richiesti, spetta comunque il diritto alla Naspi.

Definizione di “giusta causa”

La giusta causa si configura come l’ipotesi di condotta più grave e si sostanzia in una trasgressione o inadempienza (anche extra-aziendale) così rilevante, tale da non consentire la prosecuzione nemmeno provvisoria del rapporto di lavoro. La nozione di giusta causa di licenziamento è di fonte legale e non esiste, dunque, una lista puntuale di mancanze che integrano tale fattispecie. Di fatto il comportamento tenuto del lavoratore compromette irreparabilmente il rapporto fiduciario instauratosi con il datore di lavoro, il quale può recedere unilateralmente e senza preavviso dal contratto di lavoro. Si tratta pertanto di estrema ratio applicabile nei casi in cui qualsiasi altro provvedimento disciplinare risulterebbe insufficiente a tutelare l’interesse del datore di lavoro.

Quali sono i “gravi comportamenti” che costituiscono giusta causa?

Rientrano nella nozione di giusta causa di recesso gli inadempimenti contrattuali particolarmente gravi addebitabili al lavoratore per dolo o per colpa.

A titolo esemplificativo costituiscono comportamenti legittimanti tale fattispecie:

  • assenze ingiustificate;
  • uso improprio di permessi previsti dalla L.104/1992;
  • rifiuto ingiustificato e reiterato del dipendente ad eseguire la prestazione lavorativa;
  • grave e reiterata negligenza nell’esecuzione della prestazione lavorativa;
  • distruzione o sottrazione di beni aziendali;
  • falsificazione della documentazione delle spese ai fini del rimborso;
  • minacce nei confronti del datore di lavoro o di colleghi.

Oltre alle inadempienze in ambito contrattuale, ai fini del licenziamento per giusta causa rilevano anche le condotte tenute in ambito extracontrattuale da parte del lavoratore. A tal proposito è possibile contemplare come giusta causa di recesso atti o fatti riguardanti la sfera privata del prestatore idonei a ledere il rapporto di fiducia tra le parti come, ad esempio, la commissione di fatti di reato. È comunque possibile che determinati C.C.N.L. prevedano espressamente talune condotte qualificabili come “giusta causa” di recesso.

L’iter disciplinare da seguire per ottenere la NASPI

In presenza di comportamenti o fatti particolarmente gravi posti in essere dal lavoratore, potenzialmente idonei a configurare giusta causa di recesso, la procedura di licenziamento non può essere attuata in automatico. Il datore di lavoro deve infatti rispettare l’iter disciplinare previsto dall’art. 7 Legge 300/1970 il c.d. Statuto dei Lavoratori, nonché le previsioni della contrattazione collettiva di riferimento, rispettando in particolare le seguenti tre fasi: contestazione dell’infrazione, difesa del lavoratore ed irrogazione della sanzione disciplinare.

Il lavoratore licenziato per giusta causa ha diritto alla Naspi?

Poiché il licenziamento per giusta causa costituisce una fattispecie di perdita involontaria del lavoro, il lavoratore acquisisce comunque il diritto di accesso all’indennità Naspi ossia il trattamento di disoccupazione erogato dall’INPS, purché in possesso dell’ulteriore requisito richiesto. In particolare, oltre allo status di disoccupato occorre il rispetto del requisito contributivo: il lavoratore, infatti, deve poter far valere almeno tredici settimane di contribuzione utile nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione. Con la Legge di Bilancio 2022 è stato invece abolito il requisito delle 30 giornate di effettivo lavoro nei dodici mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione.
Per completezza, ai fini della determinazione dell’importo spettante, si ricorda che il trattamento mensile Naspi si riduce progressivamente del 3% ogni mese a partire dal primo giorno del sesto mese di fruizione per la generalità dei beneficiari, mentre comincia a ridursi dall’ottavo mese per i beneficiari con più di 55 anni di età. Tale meccanismo riduttivo viene definito “décalage”. Per gli episodi di disoccupazione avvenuti fino alla data del 31 dicembre 2021 invece la riduzione dell’importo decorre a partire dal quarto mese di fruizione.

Quanto dura il trattamento di disoccupazione Naspi?

La durata del trattamento di disoccupazione varia in base alla situazione contributiva del singolo beneficiario. La normativa prevede infatti che la Naspi sia corrisposta per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi quattro anni e comunque fino ad un massimo di 24 mesi. Ai fini del calcolo della durata non sono computati i periodi di contribuzione che hanno già dato luogo a erogazione di prestazioni di disoccupazione.

Esistono costi a carico del datore di lavoro in caso di licenziamento per giusta causa?

Come anticipato, in caso di licenziamento per giusta causa, il datore di lavoro può recedere dal contratto di lavoro senza alcun preavviso e senza corresponsione della relativa indennità sostitutiva. Tuttavia, non è esonerato dal versamento del contributo ex L. 92/2012, il c.d. Ticket Naspi, ossia quella somma determinata dalla legge, che i datori di lavoro devono versare all’INPS in tutti i casi in cui il lavoratore “perde” involontariamente il posto di lavoro con diritto teorico di accesso all’indennità Naspi e a prescindere dalla effettiva percezione della stessa. Il contributo, per l’anno 2022, è pari a 557,92 € (41% di 1.360,77 €, ossia l’importo massimo dell’indennità Naspi) per ogni anno di lavoro effettuato, fino ad un massimo di 3 anni. Pertanto, la misura massima del contributo è attualmente fissata in 1.673,76 €.

Quanto dura la disoccupazione dopo il licenziamento?

La durata dell'indennità di disoccupazione è legata alla storia contributiva del lavoratore e non può superare i due anni: difatti, i mesi di disoccupazione che spettano dopo il licenziamento sono 24 in totale.

Come dare le dimissioni e prendere la disoccupazione?

Una volta presentate le dimissioni online puoi inviare la richiesta della NASpI, specificando nuovamente che si tratta di dimissioni per giusta causa e non di licenziamento. Anche in questo caso, la legge non prevede che si specifichino le ragioni per cui hai deciso di lasciare il posto di lavoro.

Quali licenziamenti non danno diritto alla Naspi?

Ne consegue che la Naspi non spetta né in caso di dimissioni volontarie (spetta invece nei casi di dimissioni per giusta causa) né in caso di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.

Cosa spetta al lavoratore in caso di licenziamento?

Come riporta “La legge per tutti“: Al lavoratore spetta il tfr, cioè la liquidazione, che ammonta all'incirca ad una mensilità per ogni anno lavorato presso l'azienda; spettano poi i ratei delle mensilità aggiuntive (tredicesima e, se dovuta, quattordicesima), la liquidazione dei permessi e delle ferie non goduti e, se ...