Un magnifico equilibrio nell’immaginario complessivo del film nel quale convivono felicemente le numerose anime del regista, quella del poeta e quella dello studioso
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SCUOLA DI CINEMA SENTIERI SELVAGGI: ANCORA APERTE LE ISCRIZIONI ANNO 2022-23
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La verità intera non è mai un solo sogno, ma molti sogni.
Da Le mille e una notte
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Convergono in questo ultimo film della Trilogia della vitapiù temi della poetica pasoliniana. Come opera di approdo definitivo – dopo una navigazione tormentata e complicata come è stato il lavoro e le successive polemiche seguite ai due film precedenti che compongono la Trilogia – Il fiore delle mille e una notte è un film in cui questi temi trovano un incastro perfetto e una sintesi invidiabile tale da ricomporre da soli un riepilogo della poetica di Pasolini. E in questo film molto strutturato, infatti, che trova una sua pacificazione, che deriva dalla perfetta corrispondenza tra il suo desiderio di ricerca dell’arcaica natura dell’uomo e dei suoi sentimenti e il suo rapporto con la conoscenza. Con magnifico equilibrio proprio in questo racconto, ma soprattutto nell’immaginario complessivo del film, come già in passato, ricerca l’originaria radicalità, che diventa la migliore espressione della verità. È con questo sguardo, differente e conciliante rispetto agli due film della Trilogia, che quest’ultimo sa restituire, senza le invettive che gli appartengono, una (definitiva?) manifestazione della più complessiva poetica. Il cinema de Il fiore… sa mostrare la materia vivente delle sue idee, mette in scena nella sintesi delle immagini, l’essenza che qui si esprime nella forma riappacificata della narrazione, gli sguardi e le parole del corpus delle
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SCUOLA DI SCENEGGIATURA: LA SPECIALIZZAZIONE
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Il
fiore delle mille e una notte, che vive anche delle collaborazioni di Alberto Moravia e Dacia Maraini, fu presentato al Festival di Cannes del 1974, dove ottenne il Gran Premio della Giuria.
La complessa trama trae spunto dal famoso scritto di novelle, nel quale Pasolini trova il suo ideale scenario narrativo fatto di mondi alieni, lontani da ogni ripensamento borghese del paesaggio – erano quelli gli anni del suo La forma della città e de Le mura di San’a – riprendendo in
questa prospettiva un discorso già avviato con Edipo re e Medea. È proprio questo desiderio a trasparire nelle immagini del film e negli scenari, altrettanto stratificati, almeno quanto la possibile trama, che non è banale desiderio di evasione da panorami consueti o, ancora più banalmente, desiderio di un esotismo originale e controcorrente a tutti i costi, quanto invece, piena adesione del proprio sguardo e totale immersione del proprio corpo in uno scenario che sentiva come
aderente alla propria natura, al proprio desiderio di purezza e perfettamente consonante con l’altrettanta purezza dei corpi e della sensualità primitiva e per nulla legata ad un’idea di possesso che quegli stessi corpi sapevano comunicare. È, dunque, nella prospettiva dell’uso, ma si dovrebbe dire, forse, del protagonismo dei paesaggi e delle ambientazioni, che il film ci pare sia più imparentato con Medea ed Edipo re piuttosto che con gli altri due della Trilogia,
con i quali, invece, condivide, portandolo a pieno e consolidato compimento, quel discorso complesso che lega la sessualità al benessere umano, alla purezza dei rapporti umani, ad una semplicità delle relazioni che non prevedono orpelli e sovrastrutture, ma sono come nelle società primitive, ma colte, originarie, ma sapienti, fatte di schietta franchezza e vissute senza le inibizioni borghesi che hanno fatto del sesso mercimonio e impudicizia. Servirebbe una lunga analisi del film per
confermare, passo dopo passo, questa trasparenza della sessualità come misura del vivere le relazioni senza rossore e senza malizia.
Il fiore delle mille e una notte è, dunque, un’opera nella quale convivono felicemente le numerose anime del regista, poeta e studioso, e resta un film pieno di mutevoli prospettive visive, di un elogio dell’amore fisico e di una sessualità istintiva, che altrettanto istintivamente può essere vissuta, senza inibizioni non solo nelle forme dell’eterosessualità, ma in una ricerca del puro piacere fisico approdo naturale dei sentimenti. Pasolini configura il suo mondo ideale, in una commistione di luoghi senza confini che comprenda l’amata Africa e l’originario mondo arabo, le civiltà incontaminate nelle quali si manifestano i sentimenti altrettanto puri, e la sua macchina da presa ricompone, nel ricco canovaccio narrativo, questi scenari, che saranno per lui gli ultimi a dare pace alla sua inquietudine.
La valutazione del film di Sentieri SelvaggiRegia: Pier Paolo Pasolini
Interpreti: Ninetto Davoli, Franco Merli, Ines Pellegrini, Franco Citti, Tessa Bouché, Margareth Clementi
Durata: 125′ (versione rimontata da Pasolini); 155′ (versione presentata al Festival di Cannes)
Origine: Italia, Francia, 1974
Genere: fantastico, erotico, drammatico
Il voto dei lettori
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UN’INTERVISTA
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